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Intervistando Marco Travaglio – II parte

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– NOTA: Qui il link alla prima parte dell’intervista.


LINEE EDITORIALI

Come si legge nel tuo libro “La scomparsa dei fatti” (Saggiatore Editori, 2006), nel giornalismo “c’è chi nasconde i fatti perché contraddicono la linea del giornale”. Un concetto a cui dedichi ampio spazio anche all’interno dello spettacolo teatrale. Ti riferisci solo alla tua esperienza ne Il Giornale, che hai abbandonato assieme a Montanelli a seguito delle pressioni dell’ex editore Silvio Berlusconi, oppure ti senti di includere anche la Repubblica e l’Unità, nei quali hai lavorato per diverso tempo?
Parlo di tutti i giornali che fanno parte, chi più chi meno, di un sistema malato. Io per ritrovare la libertà che avevo a Il Giornale di Montanelli e a La Voce, ho dovuto fondare insieme ad alcuni amici un giornale indipendente, dal punto di vista politico ed economico, nel senso che si autofinanzia insieme ai suoi abbonati e lettori. Ho anche avuto delle bellissime esperienze, come all’Espresso, con cui continuo a collaborare e dove nessuno si è mai permesso di toccarmi una riga, dai tempi di Claudio Rinaldi, poi Daniela Hamaui e adesso con la direzione di Manfellotto. Ma a la Repubblica è stato molto diverso, perché è proprio un giornale-partito, dove mi sono spesso trovato in difficoltà e a disagio, e infatti me ne sono andato. A l’Unità sono sempre stato molto libero grazie a Padellaro e Colombo, che poi quando c’erano loro non era più un giornale di partito, perché il partito lo aveva chiuso e loro lo avevano riaperto. Però c’era sempre questo ricatto che il partito faceva, visto che devolveva il finanziamento per la stampa di partito a l’Unità e quindi la mia presenza metteva in difficoltà i direttori, che probabilmente sono stati cacciati anche a causa mia. Probabilmente se avessero accettato di tagliare i miei pezzi non sarebbero stati mandati via, o almeno non con quella brutalità. Così a un certo punto, come aveva fatto Montanelli nel 1994 lasciando Il Giornale e fondando La Voce, anche io mi sono reso conto che l’unico luogo in cui uno come me poteva lavorare era un giornale veramente nostro: dei giornalisti e dei lettori, senza alcun partito o editore che potesse imporre il proprio volere.

Qualche esempio di situazioni imbarazzanti o pressioni subite a la Repubblica?
Diciamo che non amo lamentarmi o andare in giro a sparlare. Semplicemente me ne sono andato perché non era il posto mio. Potrei raccontare tanti fatti ma non mi interessa. Sono abbastanza orgoglioso e dignitoso per valutare, e quando mi rendo conto che il mio lavoro non è più apprezzato preferisco andarmene e cambiare giornale, finché lo trovo. E quando non ne ho più trovati, ne ho fondato uno. (Risata, ndr).

TRA BEPPE GRILLO E LUCA TELESE

Tu sostieni che il giornalismo italiano sia estremamente politicizzato, fra gli schierati a destra e gli schierati a sinistra. Il Fatto Quotidiano vanta il pregio di stare fuori da questi “giochi di squadra”, eppure uno dei vostri più noti ex-collaboratori, Luca Telese, ha deciso di lasciare il giornale affermando che dopo il primo turno alle amministrative di Parma “Beppe Grillo è diventato Gesù. Casaleggio un guru. Ma il povero Tavolazzi non lo si poteva intervistare”. Come rispondi a queste accuse? I lettori de il Fatto Quotidiano possono stare certi che la tua amicizia con Beppe Grillo non influenzi le scelte editoriali del giornale?
È un po’ difficile che la mia amicizia con Grillo, che è nata vent’anni fa, quando faceva soltanto il comico, possa influenzare un giornale di cui fanno parte trenta persone che Grillo manco lo conoscono. Io sfido chiunque a dire che io mi sia mai permesso di imporre a qualcuno cosa doveva o non doveva scrivere. Del resto, non è che i giornali possono fare le cose di nascosto. Tutto ciò che fanno è stampato e visibile a tutti, basta leggere il Fatto Quotidiano e scoprire che tutte le polemiche sul caso Tavolazzi sono nate da noi, perché siamo stati noi i primi a intervistarlo. Che poi se si considera che Grillo non ruba e non ha rapporti con la mafia non capisco perché si debba trattare la questione come se si parlasse di Churchill o Eisenhower. Comunque, è giusto discutere del caso Tavolazzi, e non a caso l’abbiamo tirato fuori proprio noi.

E allora perché Telese ha affermato che Tavolazzi non poteva essere intervistato mentre c’era lui a il Fatto Quotidiano?
Beh, esistono anche le persone che raccontano le bugie, ed esistono persone che per far parlare di sé accusano gente più nota di loro per assorbire la loro notorietà. Esistono tante tipologie umane e ne abbiamo conosciute tante. Tu pensa che questo signore ha addirittura scoperto che il nostro giornale è schierato a favore dei magistrati anti-mafia ed è appassionato alle vicende del papello e della trattativa tra Stato e mafia. Tre anni dopo essere stato assunto ha scoperto tutte queste cose, e capisci che deve avere dei riflessi davvero molto lenti. Ma non me ne importa nulla. La nostra redazione lo sa bene come funziona e cosa succede nel nostro giornale. Tavolazzi lo abbiamo intervistato più volte e siamo anche stati i primi a farlo. Ci siamo pure beccati le reprimende di Grillo e del suo blog, anche perché una delle cose che accomuna tutti i soggetti che fanno parte della politica è proprio quella di non accettare critiche. Grillo è il primo ad essere allergico alle domande dei giornalisti, ma non lo critico per questo. Se non vuole andare in televisione fa benissimo a non farlo. Scegliere un altro modo e un altro strumento di comunicazione è assolutamente legittimo, e non credo gli si potrebbe imporre di partecipare ad un talk-show e di mettersi sullo stesso piano di noti ladroni o noti cialtroni. Comunque sia, credo che uno spazio e un luogo per rispondere alle critiche e alle domande dei giornalisti lo dovrebbe trovare, o almeno dovrebbe fare in modo che lo trovino coloro che si candidano nel MoVimento 5 Stelle, visto che lui non è un candidato e non essendo un eletto dal popolo può benissimo continuare a fare quello che gli pare. Ma per coloro che vengono eletti, è fondamentale che si trovi uno spazio per rispondere alla stampa e all’opinione pubblica, perché la scelta di comunicare con internet è una scelta giusta, ma che comunque corrisponde a un monologo, ed è assolutamente sbagliato dire che non si deve rispondere alle domande dei giornalisti.

FINANZIAMENTI PUBBLICITARI

Il Fatto Quotidiano è un giornale che non accetta finanziamenti pubblici e si mantiene esclusivamente dalle vendite, dagli azionisti e dalla pubblicità. Ci sono però diversi libri che spiegano quanto gli inserzionisti pubblicitari oggi riescano a influenzare le scelte dei direttori delle testate, vista la consistente quantità di introiti legati al settore. Pensi che il tuo giornale sia immune a questo tipo di pressioni?
Intanto mi duole dire che il Fatto Quotidiano non vende tantissimi spazi pubblicitari. E comunque, anche qui posso ricordare che i giornali sono dei libri aperti. Se un lettore si ritrova venti pagine di pubblicità della Fiat e una serie di articoli a favore dell’azienda, lì è evidente che il giornale non ha venduto solamente le pagine pubblicitarie, ma anche le altre. Se invece un giornale si comporta come il nostro, dove non ci facciamo nessun problema a criticare anche le pochissime società che comprano i nostri spazi pubblicitari, ecco trovata la soluzione. Basti vedere gli articoli usciti quando l’Enel ha lanciato il suo prodotto in borsa, “Enel green power”, noi abbiamo fatto un articolo avvertendo i risparmiatori dei potenziali di quell’operazione, tutt’altro che sicura rispetto a come veniva spiegato nella pubblicità. E siccome anche noi avevamo quella pubblicità sul giornale, l’ufficio stampa ci ha scritto facendoci sapere che così scrivendo non avremmo più avuto pubblicità dall’Enel. A quel punto, invece che chiedere scusa e pubblicare un pezzo riparatore come avrebbero fatto la maggioranza dei giornali, noi abbiamo buttato in prima pagina il messaggio che ci era arrivato dall’ufficio stampa dell’Enel, facendogli sapere che noi, tra il titolo critico e la pubblicità, rinunciamo a quest’ultima. Dopo questo fatto l’azienda ha reagito molto male, sicuramente perché sono abituati a giornali molto accondiscendenti sotto questo punto di vista, ben predisposti ad “articoli marchetta” in cambio della pubblicità. Noi siamo stati gli unici e a reagire così. Comunque sia, dopo due mesi anche l’Enel ha ripreso a fare pubblicità su il Fatto Quotidiano, forse anche perché si sono resi conto che la pubblicità è addirittura più efficace quando la pubblichi su un giornale libero, perché i lettori non la guardano col sospetto con cui la guardano quando viene pubblicata su un giornale non libero. Insomma, nel nostro quotidiano non vedrai mai una pagina pubblicitaria affiancata a un articolo che esalta lo stesso prodotto o la stessa azienda, come invece succede in molti altri giornali. Su questo siamo stati molto chiari da subito, e forse è anche per questo che di pubblicità ne vendiamo così poca rispetto al resto della stampa.

Al di là di questo, pur mantenendosi quasi esclusivamente da vendite e azionisti, è un periodo positivo per Il Fatto Quotidiano? Possiamo dire di essere in attivo, anche perché non facciamo mai il passo più lungo della gamba. Ciò nonostante, risentiamo anche noi della crisi del mercato pubblicitario e anche della crisi delle edicole, visto che il giornale non può essere considerato un bene di prima necessità e ovviamente la gente, quando c’è da tagliare sulle spese mensili, taglia prima su quella che sul pranzo e la cena. D’altronde, il giorno in cui il Fatto Quotidiano non sarà più in attivo non potrà far altro che chiudere, visto che non abbiamo né paracadute né sovvenzioni di alcun genere.

– NOTA: Qui il link alla prima parte dell’intervista.


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